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ACNE: dati certi e falsi miti – parte I

L’acne è una patologia molto comune, colpisce spesso gli adolescenti, ma può comparire anche in età adulta. Attualmente le linee guida per il suo trattamento contemplano l’uso di retinoidi locali o sistemici, cheratolitici ed antibiotici, raccomandati però solo in associazione ad altri farmaci per limitare la crescente multi-resistenza dei microrganismi. Queste terapie sono gravate da effetti collaterali e controindicazioni che ne limitano l’impiego. Seppure efficaci nell’attacco acuto, spesso non impediscono la recidiva, né tantomeno possono essere usate in prevenzione.

La difficoltà nel trovare una cura adeguata per l’acne è dovuta alla moltitudine di fattori che sembrano concorrere ad aggravare il quadro clinico:

  1. Propionibacterium acnes
  2. Ormoni androgeni
  3. Qualità del sebo secreto
  4. Fattori nutrizionali
  5. Stress psico-emotivo

Li esploreremo in dettaglio uno alla volta.

1. Propionibacterium acnes: da 100 anni con la pagliuzza corta in mano

Risale a circa un secolo fa il riscontro nell’unità pilo sebacea dei pazienti affetti da acne del Propionibacterium acnes – allora chiamato Bacillus acnes. All’inizio del 1900 la possibilità che quel microrganismo fosse la causa dell’insorgenza della malattia costituiva solo una ipotesi ancora tutta da verificare. Sfortunatamente negli anni ’60 si vide che la terapia antibiotica sistemica diminuiva la popolazione di P.acnes sulla cute e allo stesso tempo migliorava il quadro clinico. Si ipotizzò che il batterio fosse la causa della patologia e che la sua eliminazione portasse a guarigione. Ciò giustificò per molto tempo l’abuso di terapie antibiotiche sistemiche a basso dosaggio causando l’aumento dell’antibioticoresistenza del Propionibacterium, ma anche dello Staphilococcus aureus.

In studi successivi divenne evidente che l’assenza di patologia non correlava con l’assenza del batterio e che anche la cute sana poteva esserne popolata in egual misura.

Il problema è che non si è mai trovata una prova che il P. acnes provochi l’insorgenza dell’acne. È vero che, quando presente in una lesione attiva, è in grado di sostenerne l’infiammazione, ma se la cute non è infiammata, il microrganismo resta nel suo ruolo di commensale. Già, perché il nostro imputato è un normale abitante (saprofita) della pelle e condivide questo spazio con altri fratelli Propionebateriium, Staphilococchus, Corynebacterium e con funghi come Malassenzia, Aspergillus, Criptococcus e molti altri.

In ogni centimetro quadrato di pelle infatti sono presenti in media 1 milione di microrganismi!

Tutti i giorni ci portiamo addosso più di 10 MILIARDI di microrganismi che soggiornano pacificamente su di noi. La reciproca convivenza delle varie specie è uno stupefacente equilibrio di forze, tanto efficace quanto dinamico. Ogni specie è in grado di controllare e bilanciare lo sviluppo di un’altra: lo Staphilococcus epidermidis, per esempio, può inibire la crescita del P. acnes. Il P.acnes, a sua volta, frena quella dello Staphilococcus aureus. I ricercatori sono molto interessati a queste reciproche influenze per ricavarne delle terapie che non provochino resistenze. Insomma, per risolvere una situazione causata dall’abuso indiscriminato di trattamenti antibiotici si torna ad osservare i batteri e imparare da loro.

Non mi si fraintenda: gli antibiotici sono una scoperta eccezionale e salvano vite ogni giorno, ma vanno usati solo se necessario. Nell’acne i batteri sono solo degli aggravanti, non la causa. La terapia antibiotica locale con specifiche molecole capaci di penetrare nel sebo può ridurne la quantità, ma anche provocarne la resistenza, per questo viene sempre consigliata l’associazione al Perossido di Benzile che ne potenzia l’efficacia senza influire sulla resistenza. La terapia antibiotica sistemica segue lo stesso principio, ma ha un effetto anche sulla flora intestinale provocandone uno squilibrio che può durare per molti mesi – se non anni – e può portare ad una disbiosi che aumenta lo stato infiammatorio generale (low grade inflammation) che a sua volta può portare ad una recidiva di malattia. Si è visto infatti che prima della comparsa dei brufoli la cute apparentemente sana ha già un aumento di mediatori pro-infiammatori nel derma.

CONTINUA…

Fonti:

Belkaid Y. e Segre J.A. – Science 2014;346(6212):954-959
Bojar R.A. e Holland K.T. – ClinDermatol 2004;22:375-379
Del Rosso J.Q. e Kirchik L.K. – JDrugsDermatol 2013 ;12(8Suppl):s109-15
Grice E.A. – SeminCutanMedSurg 2014;33(2):98-103
Ingham E. et al – Dermatology 1998;196(1):86-88
Kurokawa I. et al – ExpDermatol 2009;18(10):821-32

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